Il dibattito sull’utilizzo della marca privata in farmacia è del tutto aperto, sebbene questa leva sia ormai presente nella Gdo da decenni e sia già ampiamente collaudata. Analizziamo la sua presenza in Europa e nei retailer italiani e approfondiamo le caratteristiche che deve avere in farmacia.
È un problema tattico o strategico adottare la private label in farmacia, si è chiesta Erika Mallarini, Healthcare Channel & Retail Lab director di Sda Bocconi, partecipando all’incontro di “Scanner Orizzonti 2024”, l’annuale forum di Pharmacy Scanner a Milano.
Il dibattito è aperto perché il tema è nuovo per la farmacia, anche se la “private label” è ben datata, essendo stata lanciata in Italia dalla Coop fin dagli anni ’70. E che sia una leva ormai collaudata lo testimoniano i molti obiettivi raggiunti nella distribuzione: differenziazione dell’insegna, fidelizzazione, riduzione della trasparenza di prezzo, margini unitari più elevati, razionalizzazione dell’assortimento e risposta ai nuovi paradigmi di consumo.
Tutti vantaggi ben collaudati dagli altri retailer italiani, tant’è vero che nella Gdo un prodotto acquistato su tre è una private label, nei discount la marca privata pesa il 63%, nell’online il 16,3% e nei petshop il 13,5%, registrando complessivamente una crescita media annua che dal 2019 si aggira sul +7%. E anche all’estero la private label è ormai una realtà conclamata, che raggiunge in Svizzera il 52,3%, in Olanda il 45,2%, in Spagna il 45,6%, mentre in Italia si ferma al 30,2%, meno quindi della media europea del 38%, ma pur sempre più della Repubblica Ceca (21,4%) e della Norvegia (23%), fanalini di coda.
Le diverse tipologie
Erika Mallarini si è innanzitutto soffermata sulle tre diverse tipologie di private label: quella “generica o imitativa” (me too) che occupa il 5,9% del totale e si caratterizza per un’opzione differenziata, il focus sul prezzo e il nome di brand generico; quella “ad alto valore aggiunto” (9,7%), che presenta innovazione costi-benefici, focus sul valore e immagine e fedeltà all’insegna, e quella maggioritaria del “Brand premium del retailer” (84,4%) che propone opzione differenziata, focus sul consumatore e margine e varietà assortimentale.
Interessanti alcuni esempi poi presentati: il brand Decò con i suoi 550 punti vendita, 2,6 miliardi di euro di fatturato e 1.200 referenze di prodotti a marchio, pari all’85% del comparto alimentare (linea premium il “Gastronauta”, con 300 referenze). Oppure la tedesca Lidl con 750 punti vendita in Italia e 121 miliardi di fatturato globale, il cui assortimento è per l’80% composto proprio da private label, con oltre 3.500 referenze divise in più di 100 marchi (linea premium Deluxe e linea locale Italiamo). O infine la Coop, con 1.199 punti vendita e un fatturato di 16,4 miliardi, che propone 21 marchi di prodotti a marchio (linea “democratica”: gli Spesotti).
Ma quali devono essere le linee caratteristiche del private label in farmacia? Innanzitutto, il servizio dei punti vendita specializzati è la selezione dell’assortimento e questo deve essere il principio base. Soprattutto considerando che nei retailer “Health & Beauty” europei i prodotti a marchio occupano il 38% del mercato, mentre in Italia solo il 10%; nell’automedicazione in Gran Bretagna presidiano il 20%, mentre in Italia solo il 2% e che nel comparto bellezza occupano in Italia il 10%. Quindi c’è ampio spazio ancora per crescere, tanto più se si considera che il 76% dei clienti italiani si dichiara disponibile ad acquistare un prodotto a marchio della farmacia su suggerimento del farmacista.
Le differenze per fascia d’età
Pubblichiamo integralmente, qui sopra e nella pagina precedente, due slide proposte nel corso di Scanner Orizzonti da Erika Mallarini, perché offrono una precisa idea di come si differenziano, nelle diverse fasce di età, le propensioni alla private label sia in generale, sia nell’acquisto in farmacia.
Il raffronto consente, infatti, di capire meglio che cosa il consumatore si aspetti da questi prodotti, soprattutto che cosa debba caratterizzare la loro offerta nei diversi comparti, cioè dalla salute in generale, al cosmetico e agli integratori.
Private Label e approccio generazionale
Private Label e approccio generazionale in farmacia
Infine, l’interessante intervento si è concluso ricordando che la private label è uno strumento da utilizzare non soltanto per i clienti della farmacia, ma anche per il personale, perché è facilmente memorizzabile e tempestivamente misurabile, orienta alla consulenza e consente di perseguire obiettivi di gruppo e individuali. Inoltre, indirizza facilmente anche i comportamenti.
E l’analisi del valore economico del prodotto a marchio in una flow chart che conduce a flussi di reddito potenziali, a redditività del business e alla riduzione del rischio d’impresa, ben sottolinea le potenzialità di uno strumento che anche in farmacia deve trovare il suo spazio.
Soprattutto, però, non va dimenticato l’ultimo avvertimento di Erika Mallarini: “La private label crea valore solamente se è di valore”.
(di Lorenzo Verlato, Farma Mese N. 1/2-2025 ©riproduzione riservata)