Arrigo Cicero: nutraceutica, siamo in pole position

A colloquio con il professor Arrigo Cicero, presidente della Società italiana di nutraceutica (Sinut)

Nuove evidenze scientifiche dimostrano l’importante funzione degli integratori alimentari nel mantenere efficiente il sistema fisiologico, garantendo all’organismo il giusto apporto di sostanze benefiche nelle varie fasi della vita. Un filone di ricerche che vede l’Italia in prima linea, con studi qualitativi elevati e una produzione altamente regolamentata e innovativa, che rendono il nostro Paese all’avanguardia.

Siamo, infatti, leader di mercato in Europa, con un fatturato 2023 di 4.545 milioni di euro, pari al 26% del totale europeo, seguiti da Germania (19%) e Francia (15%). Ed è la farmacia il principale canale distributivo, con un valore di 3.538 milioni di euro, pari al 77,9% del totale mercato nazionale (Gdo 7,7%, parafarmacie 7,6% e online 6,9%). È, quindi, un comparto che si rivela sempre più interessante per la farmacia e che cerchiamo di approfondire intervistando il professor Arrigo Cicero, presidente della Società italiana di nutraceutica (Sinut).

Nell’ultima edizione della review “Integrazione alimentare: stato dell’arte e nuove evidenze scientifiche” sono indicati gli ambiti in cui maggiormente si evidenziano i benefici effetti degli integratori. Ce ne vuole indicare i principali?

Gli ambiti sono i più svariati e la review che abbiamo preparato, anche per motivazioni di spazio, si è concentrata soltanto su alcuni. Per esempio, abbiamo parlato della potenzialità di prevenire o rallentare l’involuzione delle funzioni cognitive. Questo è un tema di grande interesse perché sappiamo che con l’aumentare dell’età e con l’esposizione ai fattori di rischio cardio metabolici nelle nostre popolazioni, il tasso di invecchiamento cerebrale è estremamente elevato, quindi la prevenzione diventa molto importante, soprattutto dove non abbiamo una farmacoterapia specifica.

Altre aree trattate riguardano la modulazione della flora batterica intestinale, che non ha un impatto selettivamente positivo soltanto sulle patologie gastrointestinali, ma ha ripercussioni importanti in termini di riduzione dell’infiammazione sistemica, di miglioramento del tono dell’umore e persino di tipo metabolico o di riduzione del rischio di malattie cardiovascolari.

E poi abbiamo il campo della prevenzione cardiovascolare ultra precoce: gli integratori alimentari sono in grado di modulare alcuni parametri di rischio che possono determinare a lungo termine un aumento di patologie cardiovascolari: i livelli di pressione arteriosa, il colesterolo, la glicemia.

Poi c’è l’area dell’integrazione nello sport, dove l’idea è che l’integratore non debba essere dato tanto per aumentare la performance sportiva, quanto per migliorare lo stato di salute dello sportivo sottoposto agli stress legati all’attività fisica.

Secondo questi ultimi studi, quali sono le persone e le fasce d’età che maggiormente beneficiano dell’impiego degli integratori?

Più che di persone e di fasce d’età parlerei del livello di necessità a cui viene esposto l’organismo rispetto alle assunzioni di micro e macro nutrienti.

In altri termini, una volta si diceva che le fasce di età che avevano più necessità erano i bambini per la crescita e gli anziani per compensare eventuali carenze legate all’invecchiamento.

Oggi si cerca di avere un approccio più “sartoriale” e si identifica una fascia di rischio legata a un certo tipo di esposizione a stressori come, per esempio, la già citata attività sportiva. Oppure cerchiamo di identificare un soggetto più sedentario, che ha una maggiore predisposizione a sviluppare le cosiddette patologie del benessere, soggetto in cui potremmo avere una necessità più precoce di intervenire con integratori che modulino positivamente il metabolismo glucidico, lipidico, la funzione vascolare e i livelli pressori.

O, ancora, si possono identificare fasce di età o generi specifici che in determinati momenti possono avere maggiori necessità nell’ambito del fisiologico: per esempio, il periodo fertile delle donne, che le espone a carenze come quelle di ferro. In una fascia più avanzata, come quella peri e post menopausale, dove la donna perde la protezione ormonale estrogenica, un’attenzione maggiore potrà essere data al tentativo di mantenere una struttura ossea in salute, che significa pensare all’eventuale integrazione di calcio, vitamina D, aminoacidi.

E in caso di patologie?

Certo, ci sono situazioni in cui l’integrazione è necessaria in funzione della compresenza di alcune patologie o disturbi cronici: pensiamo ai disturbi funzionali dell’intestino, come la sindrome del colon irritabile, che riduce drammaticamente l’intake di alcuni alimenti. O, ancora, a un soggetto anziano, che ha difficoltà di digestione e che assume farmaci come gli inibitori di pompa protonica che cambiano radicalmente la modalità di digestione degli alimenti o che semplicemente si muove poco, per cui ha un transito gastroenterico rallentato. Anche questi soggetti possono avere la necessità di integrare quello che non riescono ad assimilare in maniera adeguata dalla dieta.

Bisogna anche tenere presente che, per quanto a noi piaccia raccontare l’idea di un modello dietetico sano, questo modello ha due problemi: uno è che oggi mangiare sano, a chilometro zero, biologico, di alta qualità ha un costo e non tutti se lo possono permettere: paradossalmente, spesso l’integrazione costa meno. L’altro problema è legato al fatto che nonostante si cerchi di perseguire una dieta sana, gli alimenti sul mercato hanno spesso un valore biologico non ottimale. Pensiamo per esempio alla frutta e alla verdura maturate in cella frigorifera o staccate molto precocemente dalla pianta o al fatto che tendenzialmente, anche nell’ambito di una dieta sana, ci si incastra su modelli dietetici ripetitivi, per cui rischiamo che il soggetto mangi sempre lo stesso tipo di pasta, di cereali, di frutta senza rispettare la stagionalità e senza variare il proprio pattern dietetico. Tutto ciò impoverisce anche una dieta potenzialmente sana.

Dalle promesse fantastiche di un tempo, alle attuali evidenze scientifiche corroborate da studi autorevoli. È cambiato l’approccio delle aziende e dei professionisti sanitari alla tematica?

Sta cambiando, anche se lentamente. Le aziende più serie si stanno concentrando molto sulla produzione di alta qualità dal punto di vista della selezione delle materie prime e del razionale scientifico di prodotto. Molte stanno anche facendo test clinici sui loro prodotti. La letteratura scientifica indipendente ci dà sempre più informazioni in questo senso e, quindi, gli operatori del settore hanno anche la possibilità di informarsi meglio. Il problema è che purtroppo spesso non c’è una spinta a un certo tipo di ricerca, perché ciò che si può raccontare degli integratori è vincolato alla normativa vigente per la sicurezza alimentare europea. L’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha elaborato degli health claim, cioè ciò che si può dire in termini di proprietà salutistiche degli integratori. Purtroppo però si tratta di una lista molto vecchia, che non solo viene aggiornata con estrema lentezza, ma soprattutto non consente, nella maggior parte dei casi, di vantare le proprietà di ingredienti associati. Quindi, le aziende che producono alimenti associati su una base di razionale scientifico, anche se testati scientificamente, non possono dichiarare apertamente al pubblico di aver fatto uno studio clinico che arriva a un certo tipo di risultato. L’effetto finale è che il risultato scientifico viene divulgato all’interno della ricerca degli operatori sanitari, ma non può essere direttamente comunicato sulla confezione o in pubblicità al consumatore finale.

Inoltre, questo è un mercato poco tutelato per le aziende, perché i brevetti sono abbastanza lassi, e un’azienda che faccia qualcosa di molto simile e solo leggermente diverso riesce a entrare sul mercato raccontando le cose che ha in realtà scoperto l’azienda precedente. D’altro canto, c’è una necessità di conoscenza sempre maggiore da parte degli operatori del settore perché devono essere pronti a rispondere sempre di più alle domande del consumatore finale. Come società scientifica, noi cerchiamo sempre di promuovere la formazione di alto livello, con una impostazione molto pratica.

In che campo soprattutto eccelle sia la ricerca, sia la produzione in Italia degli integratori?

L’Italia è un mercato maturo, con standard di sicurezza elevati. I prodotti made in Italy vengono riconosciuti in tutto il mondo come di qualità e molto sicuri. Addirittura, alcuni mercati asiatici come la Cina, da cui noi compriamo le materie prime, ricomprano il prodotto assemblato in Italia, percependolo come più sicuro.

Inoltre, in Italia c’è una grande attività di ricerca sull’aumento della qualità dei principi in termini di concentrazione, di purificazione e anche di lavorazione farmaceutica per migliorarne la bioaccessibilità e di biodisponibilità. C’è poi una grande attenzione alla realizzazione di prodotti assemblati che abbiano un razionale scientifico alle spalle. E soprattutto, caratteristica tipica dell’Italia è che siamo uno dei pochissimi Paesi dove esiste l’informazione medico scientifica dell’integratore. Questo vuol dire che esistono professionisti formati, che divulgano il messaggio relativo all’integratore come se fosse un farmaco. E tutto questo contribuisce ad aumentare il livello di consapevolezza anche nei pazienti. Aggiungo che l’Italia è il Paese in cui le aziende investono di più in ricerca clinica sul prodotto assemblato e non solo sul singolo componente.

L’Italia è un mercato maturo, con standard di sicurezza elevati. I prodotti made in Italy vengono riconosciuti in tutto il mondo come di qualità e molto sicuri. Addirittura, alcuni mercati asiatici come la Cina, da cui noi compriamo le materie prime, ricomprano il prodotto assemblato in Italia, percependolo come più sicuro

La farmacia continua ad avere un ruolo importante nella comunicazione e nella distribuzione di questi prodotti. Ma quali sono i più gettonati dagli italiani?

Gli italiani tendenzialmente sono consumatori aspecifici, nel senso che il mercato è ancora basato soprattutto sui multivitaminici, i multiminerali oppure i probiotici, che si assumono con l’idea che facciano bene un po’ a tutto ciò che transita dall’intestino. Però stanno aumentando i mercati specifici, per esempio i prodotti relativi ai disturbi funzionali dell’apparato gastroenterico, ai disturbi dell’umore (ansia, sonno eccetera). Poi ci sono i mercati che rimangono forti in maniera stabile, per esempio il mercato degli agenti che riducono il colesterolo, i venoprotettori, gli angioprotettori, i condroprotettori che hanno quote di mercato stabili e che potrebbero anche aumentare, in quanto non utilizzati ancora in maniera ottimale. In questo il farmacista può avere un ruolo importante per aiutare nella scelta il paziente, indirizzandolo verso prodotti sempre più specifici e dando un orientamento corretto anche dal punto di vista cronologico. Questo vuol dire due cose: la prima è dare al paziente dell’età giusta l’integratore giusto (per esempio: un ottantenne non trae alcun vantaggio da un prodotto per la protezione delle articolazioni; sarebbe più interessante proporlo al quaranta/cinquantenne che entra in farmacia a comprare l’antinfiammatorio perché ha male a un ginocchio). Lo stesso vale per i venoprotettori, utili ai primi sintomi e non a chi ha già una condizione avanzata di vene varicose. Il farmacista, che misura glicemia, pressione, colesterolo, ha grandi possibilità di riconoscere le fasi iniziali del rischio vascolare e di intervenire quindi in maniera molto efficace. Il secondo aspetto cronologico riguarda la durata dei trattamenti: quando il farmacista propone una cura per una patologia cronica invitando a provare una o due scatole, perde un’occasione. Dovrebbe, piuttosto, spiegare chiaramente che per molte patologie l’assunzione dovrebbe essere cronica. Offrire un servizio di consulenza di alto livello vuol dire anche aiutare i pazienti a muoversi in questa direzione.

Sappiamo che i consumatori si affidano al consiglio dei farmacisti prima di comprare un integratore. Come giudica la preparazione della categoria al riguardo? E che cosa fa la sua società per migliorarlo?

Il farmacista è un professionista preparato con tutti gli strumenti culturali per riuscire ad approfondire tematiche legate alla nutraceutica, e in particolare sulle componenti fitoterapiche perché può contare sulla preparazione offerta dal suo corso di laurea. Bassa, invece, la preparazione accademica in generale sull’integrazione più avanzata. Esistono però corsi di formazione, corsi alta formazione universitaria, master, oppure attività formative più concentrate, tra cui corsi organizzati a livello nazionale o regionale dalla Società italiana di nutraceutica. Non siamo gli unici, ma cerchiamo di garantire uno standard qualitativo alto. La nutraceutica rappresenta un’ottima opportunità di crescita professionale ma anche imprenditoriale per il farmacista.

(Farma Mese n. 8-2024 ©riproduzione riservata)

Autore

Related posts