Emanuele Monti: meno politica, più rito del fare

È il più giovane consigliere di amministrazione dell’Aifa, oltre che presidente della Commissione Sostenibilità sociale, Casa e Famiglia di Regione Lombardia. Da sempre “amico” dei farmacisti, lo incontriamo per capire come la politica consideri oggi la farmacia e come intenda ora muoversi l’Agenzia del farmaco

Seppur giovane (Classe 1985), è molto ricco il curriculum di Emanuele Monti, prima come consigliere comunale e poi provinciale a Varese, quindi come consigliere regionale della Lombardia e ora anche come membro dell’executive board dell’Aifa. In particolare, ha avuto modo di interfacciarsi spesso con la farmacia nei suoi ruoli prima di presidente della Commissione Sanità e Politiche sociali (dal 2018 al 2023) e come relatore di numerosi provvedimenti di legge, tra cui la Riforma sanitaria lombarda (L. 22/2021), e ora come presidente della Commissione Welfare, con delega alla Sostenibilità sociale, Casa e Famiglia. Scopriamo che è anche laureato in Economia aziendale ed è stato per tanti anni dirigente di L’Orèal Italia, venendo così a contatto con le problematiche non soltanto sociali e sanitarie, ma anche economiche del mondo della farmacia. Intervistarlo significa, in particolare, cercare di capire come la politica viva oggi la farmacia.

La seguiamo da anni nella sua attività politica in Regione Lombardia e sappiamo che ha sempre apprezzato ruolo e funzioni della farmacia lombarda, e ritengo non solo lombarda. Quale idea ha maturato nei riguardi di questo servizio?

Partiamo da alcuni principi: la farmacia è, innanzitutto, presente sul territorio in maniera capillare, con personale molto qualificato e assai attento alla persona. Inoltre, è una struttura caratterizzata da elementi sia economici, sia professionali, con un collegamento forte al territorio. L’alchimia e il mix di questi aspetti è un valore estremamente prezioso, da conservare. Al di là della dispensazione del farmaco -suo scopo originario- oggi la farmacia dei servizi fa intravvedere quale sarà il suo futuro. Non a caso l’esperienza del Covid, che è stato uno stress per tutti i sistemi sanitari -e lo so bene perché in piena pandemia ero presidente della Commissione Sanità di Regione Lombardia- ci ha lasciato un chiaro insegnamento: ogni perimetro della sanità nazionale, pubblica e privata, è andato in tilt, ma la farmacia ha saputo attivarsi velocemente per fornire servizi alla collettività. Ricordiamo, per esempio, il lavoro che è stato fatto con i tamponi o con le vaccinazioni.

Io sono in Regione da tre legislature e ho visto l’evoluzione “lombarda” maturata in ambito sanitario, peraltro prodromica a livello nazionale: ricordiamo il “Libro bianco” di Maroni nel 2013-2014, sfociato nella Legge 23/2015, e poi ancora la Legge 22/2021, di cui sono stato relatore, e così riviviamo un percorso che, fin da allora, aveva identificato nella farmacia un ruolo molto forte di cura e di prossimità al cittadino. Questi sono valori importanti che vanno preservati e difesi, anche perché il nostro modello si basa proprio su un collegamento con il territorio, che va protetto. È giusto, allora, che vi sia una contaminazione con il capitale, cioè tra realtà individuali e societarie, anzi bisogna preservare questo mix, proprio perché, accanto alla cura della persona, ci dev’essere un’attività economica che la sostenga. Solamente così il farmacista può guardare alla persona prima ancora che al bilancio, come avvenuto durante la pandemia. Questa contaminazione tra professione e capitale, che definisco positiva, è un valore speciale, possibile soltanto in presenza di un forte connubio tra i diversi tipi di organizzazione, perché non c’è un modello vincente rispetto all’altro.

Condivide, quindi, l’idea di una farmacia come primo presidio del Servizio sanitario nazionale? Quale il suo ruolo per garantire un’assistenza territoriale capillare?

Certo, ma oggi c’è un grande lavoro da fare per attuare i recenti provvedimenti del governo sulla farmacia dei servizi, di cui la Regione Lombardia è stata per molti versi precursore. Bisogna concretizzare nei fatti questo ruolo, e non solo a parole in una delibera di Giunta oppure in un atto del Governo. Per farlo è necessaria una forte connessione con le Istituzioni sanitarie del territorio, cioè condividendo la programmazione dei servizi territoriali. E lo dico da lombardo, con il rito ambrosiano del fare. È fondamentale che la farmacia non sia un addendum, perché non basta, per esempio, programmare la campagna vaccinale e poi dire c’è anche la farmacia… Bensì, una volta decisa la campagna vaccinale, bisogna stabilire con quale ruolo va coinvolta la farmacia, con quali target e con quali azioni. È necessario fare in modo che nella programmazione sanitaria territoriale la farmacia abbia un ruolo paritario con i medici di medicina generale, con gli ambulatori, con i servizi pubblici e privati accreditati, e così via.

A un recente convegno di Federfarma Lombardia lei ha indicato come necessaria una miglior sinergia medico/farmacista. Che cosa può fare la politica per superare gelosie e preconcetti?

L’Italia è il Paese dei Comuni e dei campanili, è il Paese dove su una professione abbiamo, per esempio, diverse società scientifiche, troppi personalismi, e dove spesso viene anteposto l’io al noi. Dimentichiamo, così, che la salute della popolazione ha una priorità assoluta e che dobbiamo anteporre il noi all’io, trovando le giuste modalità. Quindi, che cosa deve fare l’Istituzione? Deve agevolare questo percorso ed evitare di difendere taluna o talaltra corporazione, per ingraziarsela ai fini elettorali. Dobbiamo superare questi vizi, perché il nostro interlocutore è il cittadino e a lui dobbiamo dare il migliore servizio, ricordando, tra l’altro, che è proprio lui, in fin dei conti, l’elettore.

Nella cultura del noi, poi, la collaborazione vincente tra varie professioni sanitarie è l’idea di una farmacia “aperta”, uno strumento a disposizione dei professionisti della sanità per aiutare, migliorare, rafforzare l’erogazione dei servizi sanitari sul territorio. Inoltre, gelosie e preconcetti sono spesso diatribe tra i vertici, questioni di politica interna che non trovano riscontro nella realtà locale, dove c’è sinergia e collaborazione tra i diversi professionisti. Ecco, allora, che la politica qui può fare molto, impegnando a guardare avanti ed evitando ancestrali personalismi.

Recentemente è stato nominato membro dell’Executive board di Aifa? A caldo, com’è questa esperienza? Quali le sue prime sensazioni?

Non solo mi sono trovato nell’Agenzia del farmaco, ma mi ci sono trovato in un momento di riforma, dopo vent’anni dalla sua istituzione. L’obiettivo dell’executive board, infatti, è quello di guidare l’Agenzia in questa fase di trasformazione, consapevoli che il suo ruolo preziosissimo, ma molto delicato, è in fase di piena riforma. Oggi la governance cambia completamente paradigma, con un presidente che rappresenta l’Aifa coadiuvato da un Consiglio di cui faccio parte, consapevole di una grande responsabilità, non soltanto per il fatto di esserci, ma di esserci in un momento così delicato. Perché l’obiettivo del board è realizzare una riforma che porti ad avere meno tecnici e meno burocrazia, e che garantisca al paziente cure rapide, grazie alla veloce approvazione dei farmaci autorizzati dall’Ema. Dobbiamo, poi, coinvolgere le Regioni all’interno del percorso decisionale, per una miglior armonizzazione territoriale, così come è necessario interagire con gli stakeholder e con le associazioni dei pazienti. Cioè passare da una cultura verticista, da un’Aifa chiusa in una torre d’avorio, a una cultura del dialogo, capace di interagire con gli operatori. Tra l’altro, sono il primo under40 a farne parte e, quindi, ecco una buona notizia: ci sono persone giovani che possono contribuire a una visione innovativa nell’Ente.

Come procede il lavoro di spostamento dei farmaci dalla Distribuzione diretta alla Dpc e alla Convenzionata?

Questa direzione, che ci arriva dal Governo, è un esempio concreto di progettualità che punta, nei fatti, a migliorare il servizio ai pazienti, che potranno ottenere il farmaco in farmacia, senza doversi recare in ospedale. E per quell’80% di italiani che non vive nelle grandi città, ma nelle vallate e campagne, poter trovare il farmaco sotto casa è un cambio epocale. Su questo, dunque, si continuerà ad andare avanti, ovviamente adottando un meccanismo che non leda la sostenibilità del Ssn. Quindi, non c’è dietro una motivazione economica, quanto piuttosto di servizio al paziente. Stiamo trovando le giuste modalità, visto che c’è stata qualche polemica da parte di alcune Regione, ma poi vedranno, fatti bene i conti, che non ci saranno particolari aggravi. Su questi temi, poi, ritengo non si debbano fare campagne politiche.

Lei è anche un manager, e non solo per gli studi in economia aziendale, ma come dirigente di L’Orèal Italia per molti anni. Questa attività come contribuisce al vissuto dei suoi ruoli politici?

Sicuramente è servita ad avere uno spirito più concreto, più vicino ai bisogni delle persone e delle aziende. Inoltre, lavorare nel mondo produttivo mi ha aiutato a essere più proattivo nelle proposte, rispetto a una certa politica abituata alla narrazione. Oggi, poi, che devo occuparmi anche di questioni nazionali, oltre all’attività in Regione Lombardia, questa esperienza aiuta ad avere un senso pratico nel fare le cose.

Come ipotizza il futuro prossimo venturo della farmacia italiana?

Il futuro impone di correre per realizzare le progettualità previste dai recenti decreti, dove c’è il tema dei nuovi servizi, della telemedicina, con la possibilità di fare in farmacia teleconsulti e monitoraggi. La tecnologia potrà collegare sempre di più la farmacia al paziente e alla cura, così come l’intelligenza artificiale aiuterà il farmacista e il medico a lavorare meglio e a favorire quella cultura del dialogo, del noi prima dell’io. Un mondo più interconnesso e collegato impedirà, poi, quell’isolazionismo che vediamo spesso nei nostri ragazzi, nel disagio provocato dall’utilizzo compulsivo del cellulare. Il vero rischio è l’iper-tecnologia, cioè avere tutto, ma non riuscire a gestire le priorità, come temeva Albert Einstein: “Arriverà un momento della storia in cui la tecnologia supererà la capacità dell’uomo nel gestirla”.

E che cosa chiede alla farmacia e ai farmacisti?

Che si impegnino ad affrontare la grande sfida culturale legata alla formazione: l’evoluzione della farmacia comporta uno shift di competenze che va accompagnato da un’adeguata formazione, ma non dubito che il farmacista saprà gestire il cambiamento. Lui ha il camice, quindi l’anima scientifica, ma ha anche la veste dell’imprenditore, e dunque la forza di trasformarsi e d’investire sulla propria attività. Oggi la grande area d’investimento dev’essere quella della formazione, la chiave per far crescere la farmacia, sia come presidio del territorio, sia come sviluppo del business a 360°. A che servono la telemedicina, il telemonitoraggio e i nuovi servizi se poi mancano le persone in farmacia con le competenze necessarie? Questo è il tema secondo me imprescindibile. Ma sono fiducioso, perché la farmacia ha nel suo Dna la capacità e le competenze per evolversi sempre.             n

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