Impresa familiare: cosa spetta al convivente?

La Legge Cirinnà (n. 76/2016) ha introdotto rilevanti cambiamenti nel nostro diritto di famiglia, tra i quali la possibilità, per il convivente di fatto, di partecipare all’impresa familiare. Analizziamo con la nostra esperta Paola Castelli cosa comporta tale cambiamento, che può coinvolgere il mondo farmacia, anche alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 148 depositata il 25 luglio 2024.

Cosa si intende per convivenza di fatto?
Si tratta della convivenza tra due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio oppure da unione civile, residenti nel medesimo Comune, coabitanti e iscritte nel medesimo stato di famiglia. Ai fini del riconoscimento della convivenza di fatto non è sufficiente il mero comportamento concludente delle parti in causa ovvero avere la stessa residenza, ma è necessario che gli interessati presentino all’Ufficio Anagrafe del Comune di residenza apposita dichiarazione, sottoscritta da entrambi e corredata dai rispettivi documenti d’identità. Può presentarsi anche un solo componente della convivenza di fatto a condizione che sia in possesso del documento d’identità del componente assente e che la dichiarazione sia sottoscritta da entrambi i conviventi.

L’impresa familiare è una forma giuridica abbastanza diffusa nel mondo farmacia. Qual è l’impatto di tale Legge al riguardo?
La Legge in esame ha introdotto nel nostro Codice Civile, dopo l’articolo 230-bis “Impresa familiare”, l’articolo 230-ter, “Diritti del convivente”.

Per capire la portata della sentenza della Corte Costituzionale è bene ricordare i rilevanti diritti riconosciuti dal nostro Codice Civile ai partecipanti all’impresa familiare.

Diritti dei partecipanti all’impresa familiare

Cosa ha previsto al riguardo la sentenza della Corte Costituzionale?
La Corte ha dichiarato l’incostituzionalità degli articoli 230-bis C.c. e 230-ter C.c. in quanto ritenuti discriminatori nei confronti del convivente di fatto che partecipa all’impresa familiare. In particolare, l’articolo 230-bis C.c. sarebbe viziato da illegittimità costituzionale per non includere tra coloro che possono prestare la propria attività nell’impresa familiare anche il convivente di fatto. Nello specifico, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 230-bis, 3° comma, C.c., nella parte in cui non prevede come familiare anche il convivente di fatto e come impresa familiare quella cui collabora anche il convivente di fatto.
La Corte Costituzionale non si è fermata qui, dichiarando, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale dell’articolo 230-ter C.c., che, introdotto dalla Legge Cirinnà, riconosceva al convivente di fatto una tutela significativamente più ridotta.

Alla luce dei profondi mutamenti della società odierna, lo spirito della sentenza della Corte Costituzionale è quello di riconoscere piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto quando si tratta di diritti fondamentali, quali il diritto al lavoro, alla giusta retribuzione e all’eguale tutela della prestazione lavorativa, rischiando altrimenti che la stessa possa essere qualificata come prestazione a titolo gratuito.
Il convivente di fatto è, quindi, equiparabile a un familiare ed è impresa familiare quella in cui lo stesso collabora. Pertanto, restando in tema di rapporti simil “coniugio”, al convivente di fatto devono essere riconosciute le stesse prerogative patrimoniali e partecipative del coniuge e della persona unita civilmente all’imprenditore.

Oltre ai diritti e doveri di ciascun partecipante all’impresa familiare, può darci un breve promemoria sul regime fiscale di tale istituto giuridico?
L’impresa familiare, al pari dell’impresa individuale, è tassata ai fini Irpef secondo le seguenti aliquote progressive per scaglioni di reddito:

I vantaggi fiscali derivanti dall’utilizzo di tale istituto sono ascrivibili alla possibilità di ripartire tra più teste i redditi prodotti dalla farmacia: la disciplina fiscale dell’impresa familiare prevede, infatti, la ripartizione del reddito tra tutti coloro che hanno concorso a determinarlo, cioè l’imprenditore e i familiari (convivente di fatto incluso) che prestano la propria attività lavorativa in modo continuativo e prevalente.

Imputando il reddito della farmacia in parte al titolare (almeno il 51%) e in parte ai collaboratori familiari (non più del 49%), il carico fiscale complessivo è inferiore rispetto a quello di un’impresa individuale alla quale non partecipino familiari. Voi potreste obiettare sostenendo che lo stesso risparmio fiscale possa di fatto essere ottenuto anche costituendo una società di persone: obiezione valida, anche se attualmente l’impresa individuale in generale ha il vantaggio di non scontare l’Irap (3,9%). Questo ad oggi, perché prima o poi l’Irap potrebbe essere abolita in primis anche per le società di persone (S.n.c. e S.a.s.) e, dulcis in fundo, per le società di capitali.

Come sempre, cosa suggerisce ai cari lettori, in conclusione?
Senza fare alcuna discriminazione tra coniuge e convivente di fatto e considerati i rilevanti diritti garantiti dalla sussistenza dell’impresa familiare, consiglio di percorrere questa strada -che, sappiamo bene, consente, al pari della società di persone, di splittare il reddito tra più soggetti, riducendo così il carico fiscale- soltanto in presenza di rapporti personali forti e consolidati. La minima titubanza o il minimo dubbio mi portano, piuttosto, a consigliare una S.a.s., con il convivente di fatto quale socio accomandante, dipendente o meno della società.

(Farma Mese N. 9-2024 ©riproduzione riservata)

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