L’invito di Federfarma ai farmacisti, apparso su un recente editoriale di “Farma 7”, per un loro impegno ai fini di una più ampia diffusione delle vaccinazioni antinfluenzali, trova ampie giustificazioni non soltanto in base alle previsioni degli epidemiologi, ma anche ai dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità.
Da una parte, infatti, arrivano indicazioni su una prossima pesante stagione influenzale, come peraltro registrato nell’emisfero australe, con un’incidenza di casi elevata non soltanto relativi all’influenza, ma anche al virus respiratorio sinciziale e al Covid. Dall’altro allarma la differenza tra le coperture vaccinali richieste dall’Oms e quelle effettive di casa nostra: abbiamo coperti appena un 18,9% della popolazione e un solo 53,3% degli over 65anni, contro un target minimo del 75% indicato dall’Oms. E così le previsioni parlano di circa 20mila decessi in Italia. Logico, quindi, approfittare della possibilità di vaccinarsi nelle farmacie, così ben diffuse sul territorio, per aumentare il tasso di copertura delle immunizzazioni.
È, peraltro, l’occasione giusta per rivendicare il proprio ruolo di primo presidio sanitario del Ssn e per accreditare la “farmacia dei servizi”. Da qui l’invito a “darsi da fare”, ovviamente sperando che quest’anno non vi siano ritardi organizzativi nella distribuzione dei vaccini, come avvenuto l’anno scorso. E insieme sperando che vengano meno quei conflitti inter-professionali che mirano a limitare il ruolo della farmacia, screditando la qualità dei suoi servizi.
Per carità, l’esperienza ci ha abituati alla difesa delle rendite di posizione, che non sono mai mancate nei vari ambiti sanitari. La difesa delle specifiche competenze va giustificata, ma non fino a quando la competizione porta a diffamare l’altro. Qui non si tratta di difendere proprie “riserve di caccia”, quasi fossero competenze esclusive, soprattutto dimenticando che in sanità la difesa del proprio profilo professionale deve fermarsi di fronte all’interesse e ai bisogni del paziente.
Diventa peraltro fastidioso constatare come non manchi mai, nei vari convegni e nelle dichiarazioni pubbliche, l’enfasi retorica sulla necessità di favorire l’integrazione tra le diverse professioni, con l’invito a stimolare una maggior collaborazione multiprofessionale. Poi, in pratica, si cerca di bloccare i nuovi servizi emergenti, definendoli inadeguati, non affidabili o non qualitativi (anche se magari effettuati con gli stessi macchinari e refertati dai medesimi esperti).
Non ci può essere una reale deospedalizzazione senza una convinta collaborazione tra i diversi professionisti sanitari del territorio -in primis medici, farmacisti, infermieri- e se non lo fanno le varie professioni, troppo impegnate a difendere ognuna il proprio orticello, lo deve concretizzare la politica, trovando le formule anche normative per favorire queste sinergie.
Al di là, quindi, delle enfatiche dichiarazioni, ed evitando quel “divide et impera” tipico dei politici, ma avendo solo presente l’interesse primario del paziente.
(Farma Mese N. 8-2024 ©riproduzione riservata)